lunedì 21 luglio 2008

Una vita sulle acque


Ci sono metafore nella vita che facilmente si possono interpretare e vedere con gli occhi della realtà dopo averle distillate attraverso le lenti della fantasia; questo dipende essenzialmente dalla loro aderenza a situazioni che si verificano nella vita quotidiana, altre volte perché poco sofisticate e ingenue, altre volte ancora perché qualcuno riconosce nel “racconto” una parte di sé che mai avrebbe pensato di vedere così brillantemente manifestata attraverso simboli.

“La Leggenda del pianista sull’oceano” è un’opera cinematografica che deborda di metafore dal primo all’ultimo minuto del film… questo è il suo pregio e il suo difetto più grande. La fantasia di Baricco (autore del monologo da cui il film è tratto) è stata trascesa e portata in immagini, da Tornatore, il più barocco dei cineasti italiani con sfumature impensabili per un film, essenzialmente dovute ad un’interpretazione sublime da parte di Tim Roth.

Il motivo essenziale dell’opera ruota inevitabilmente sulla condizione del protagonista -Novecento- che nato su un transatlantico e ivi abbandonato, cresce, vive, studia e impara a suonare il piano sulla grande nave, senza mai toccare terra. Una condizione che lo pone al di sopra di ogni classificazione burocratica.. Novecento non appartiene a nessun “NOI” di patria: non è italiano, non è inglese, non è francese… ma allo stesso tempo il suo concetto di “cittadino del mondo” non può essere applicato al suo caso, in quanto la terra non l’ha mai toccata. Novecento non potrà mai indossare la “maschera” di una nazione, di solito la prima con cui ci manifestiamo al mondo, ne quella di una religione, ne quella di squadra di calcio a cui fare il tifo, o quella di una moda che si segue.. inoltre egli non vive la condizione di emigrante pur viaggiando sempre, poiché non lascia alcuna terra per andare in un’altra, poiché il viaggio è il suo “centro”… è condannato a vivere quello che lui è, a realizzare il Sé più profondo, l’essenza della sua vita, della sua anima e del suo cuore.

Con molte persone con cui ho avuto modo di parlare di questo film, ho sempre notato che ciascuno ha percepito questa pellicola, ma soprattutto il suo finale, in modi totalmente diversi… chi triste, chi leggero, chi bello, chi noioso, chi brutto, chi artistico, chi ….. Il merito forse sta proprio nell’aver usato questa metafora che diventa amplia il più possibile e in cui ciascuno di noi può vedere riflesso se stesso e il proprio rapporto con le maschere che di solito usa nel rapportarsi con gli altri nel bene e nel male.

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